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Paolo Ravera nuovo presidente di Porto Petroli di Genova S.p.A.

Paolo Ravera Porto Petroli
Genovese, ha maturato una vasta esperienza in IP, AGIP ed Eni

ll Consiglio d’Amministrazione di Porto Petroli di Genova, la società che gestisce il terminal petrolifero di Genova Multedo, ha nominato Paolo Ravera nuovo presidente. Genovese di nascita, Ravera ha conseguito la laurea in Ingegneria Civile con il massimo dei voti e, dopo aver maturato diverse esperienze in società di ingegneria, entra in Italiana Petroli dove ricopre ruoli di crescente responsabilità. Successivamente passa in Agip Petroli Spa, oggi Eni, dove ha assunto diversi incarichi di rilievo nel settore Commerciale Refining & Marketing. Ravera sostituisce alla presidenza della società Maurizio Maugeri, a cui sono andati i ringraziamenti del Consiglio di Amministrazione per la lunga collaborazione. Dal 1986 Porto Petroli di Genova gestisce il terminale petrolifero di Genova Multedo per lo sbarco, l’imbarco e il trasferimento di prodotti petroliferi trasportati da navi di varia portata. L’azienda è certificata secondo gli standard ISO 9001 (Qualità), OHSAS 18001 (Sicurezza) ISO 14001 (Ambiente). Il terminal genovese, grazie ad un’articolata rete di oleodotti di proprietà di terzi, svolge una funzione fondamentale nell’approvvigionamento di greggio e prodotti petroliferi, rivestendo un ruolo primario nella domanda di energia del sistema economico nazionale e – in particolare – dell’Italia settentrionale. Le quote della Porto Petroli di Genova S.p.A. sono suddivise tra i seguenti azionisti privati:

Ecofuel S.p.A. 40,5%

Comunione Utenti Privati 35,8%

Italiana Petroli S.p.A. 8,9%

Porto Petroli Agenti Marittimi S.r.l. 8%

Cooperativa Santa Barbara 6,7%  

Bilancio di Sostenibilità di Acque Bresciane

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Presentato ieri il terzo Bilancio di Sostenibilità di Acque Bresciane, che rendiconta in modo volontario le attività della Società, i dati più significativi e gli obiettivi raggiunti.

“L’impegno nella sostenibilità ambientale è la migliore risposta per ripartire dopo l’emergenza Covid-19. Il Bilancio racconta il contributo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile attraverso un impegno costante nell’innovazione e nella tutela dell’ambiente. Le principali novità riguardano: una strategia di sostenibilità integrata nel nostro piano industriale, più spazio alla visione degli stakeholder (in primis sindaci e nuove generazioni), un importante percorso interno aziendale, un impegno per i cambiamenti climatici e maggiore chiarezza di informazioni”. Il Presidente Gianluca Delbarba ha dichiarato: “Abbiamo fatto del tema della sostenibilità una scelta strategica e valoriale di fondo. Stiamo vivendo un tempo che richiede impegno e obiettivi che possano tutelare il futuro delle generazioni che verranno. La tragedia generata dalla pandemia Covid ha posto all’attenzione globale valori universali attraverso i quali la sostenibilità trova una sua corretta applicazione”.

Il comunicato stampa

Il video di sintesi

L’intervento del Presidente      

Covid e lavoratori: le misure messe in campo dal Governo per rientrare in sicurezza

Oggi ospitiamo il contributo di Stefano Ghibellini, giuslavorista e associato senior presso lo Studio Legale Ghibellini, consolidata realtà nel panorama giuridico italiano con oltre un secolo di storia alle spalle.


La riapertura dei luoghi di lavoro a seguito del termine della fase del lockdown, ha posto il problema della responsabilità dei datori di lavoro nell’ipotesi di contagio di un dipendente nello svolgimento dell’attività lavorativa.

A tale proposito si rende necessario analizzare gli strumenti adottati dal Governo durante la fase di emergenza e, più in generale, la normativa in materia di sicurezza sul lavoro.

Ai fini del contenimento della pandemia da Covid-19 sui luoghi di lavoro, in data 14 marzo e 24 aprile 2020, le parti sociali, tra cui Confindustria, hanno sottoscritto, d’intesa con il Governo, due protocolli condivisi di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. Gli stessi protocolli sono stati quindi resi obbligatori, per tutta la durata della pandemia, rispettivamente, con i Dpcm del 10 aprile e del 26 aprile 2020, per le imprese le cui attività non fossero sospese durante il lockdown, e con dpcm del 18 maggio 2020 per tutte le attività che avrebbero potuto riprendere nell’attuale Fase 2.

Tali protocolli prevedono disposizioni in materia di obblighi di informazione, distanze di sicurezza, sanificazione degli ambienti, regolamentazione degli accessi in azienda, strumenti di protezione individuale, gestione degli spazi comuni, nonché trattamenti dei sintomatici in azienda e regole sugli spostamenti interni e sullo svolgimento delle riunioni.

Il datore di lavoro è quindi tenuto ad adottare misure precauzionali (protocolli), che devono essere preceduti da una valutazione dei rischi da contagio in azienda e prevedere misure di contenimento del rischio conformi alla normativa e parametrate alle peculiarità dell’impresa.

I protocolli costituiscono, di fatto, una integrazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), che dovranno essere aggiornati anche formalmente con richiamo alle valutazioni di rischio da contagio ed ai protocolli assunti (ovvero indicando in questi ultimi che vanno ad integrare il DVR e allegandoli al medesimo).

Tali regole vanno ad aggiungersi a quelle stabilite dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro e, in particolare a quanto stabilito dall’art. 2087 del codice civile. In base a tale articolo “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”. Quest’ultima disposizione costituisce una norma di chiusura del sistema civilistico in relazione agli infortuni sul lavoro, che obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti imponendogli l’adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene alla salute nell’ambiente e in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure previste dalla normativa speciale. A tale responsabilità civilistica si può aggiungere, laddove ne ricorrano i presupposti, quella penale per le ipotesi in cui si possano configurare i reati di lesioni o di omicidio o ancora quella amministrativa dell’ente qualora l’infortunio sia avvenuto con violazione delle norme antinfortunistiche.

Nel caso di infezione contratta nello svolgimento dell’attività lavorativa occorre fare riferimento all’art. 42 comma 2 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 cd. “Decreto Cura Italia”, secondo cui l’infezione da coronavirus rientra nell’alveo delle malattie infettive e parassitarie e, come tale, è senza dubbio meritevole di copertura Inail per gli assicurati che la contraggono “in occasione di lavoro”.

Tale disposizione in materia di assicurazione obbligatoria in capo ai dipendenti contagiati in occasione dell’attività lavorativa, a causa della propria vaghezza, ha suscitato molte perplessità da parte dei datori di lavoro per i possibili risvolti civili e/o penalistici legati ad accertamenti di responsabilità dell’azienda nel caso di contagio del lavoratore.

A tale proposito si è reso necessario un primo intervento interpretativo dell’INAIL che, con circolare esplicativa n. 23 del 3 aprile 2020 ha inquadrato l’infezione da Covid 19 nell’ambito della disciplina degli infortuni sul lavoro. Ciò nonostante non è stata chiarita la portata della norma rispetto alla posizione del datore di lavoro come soggetto garante della sicurezza dei dipendenti.

La mancanza di chiarezza sul punto ha dato origine ad un dibattito sulla possibile interpretazione della norma la quale, a parere di alcuni, avrebbe comportato una responsabilità oggettiva del datore di lavoro nel caso in cui un dipendente avesse contratto il virus durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, e con ciò ponendo in capo all’azienda una difficilissima prova liberatoria.

Con circolare n. 22 del 20 maggio 2020, l’INAIL è nuovamente intervenuta al fine di chiarire i termini della tutela infortunistica da Covid-19 ed i risvolti che questa comporta in tema di responsabilità del datore di lavoro. Nella circolare si stabilisce che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non ha alcuna correlazione con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro, che è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche.

I presupposti per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro devono essere rigorosamente accertati con criteri differenti rispetto a quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. Il dipendente che ha contratto il virus avrà, dunque, l’onere di provare l’esistenza del nesso di causalità tra evento e condotta datoriale nonché l’imputabilità a titolo di dolo o colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro.

L’INAIL ha inoltre chiarito come dalle disposizioni citate non possa desumersi un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero”, quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile.

Nella circolare si richiama l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui l’articolo 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.

Da ciò ne consegue che il datore di lavoro sarà responsabile soltanto in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33.


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Logistica e Coronavirus

L’intervista a Daniele Testi, Presidente di SOS-LOGistica


L’emergenza Coronavirus ha evidenziato a livello globale le debolezze di sistemi economici, sociali e filiere produttive. Abbiamo chiesto a Daniele Testi, presidente di SOS-LOGistica – l’associazione per la logistica sostenibile di cui facciamo parte – un focus su come il mondo della logistica sta affrontando l’emergenza e sulle prospettive di ripresa di questo sistema essenziale per tutte le filiere produttive. Quali sono le principali problematiche che l’emergenza Coronavirus ha posto in evidenza nell’ambito della logistica? La logistica nel periodo di Lockdown ha dovuto mantenere le filiere di beni essenziali il più fluide e affidabili possibili. Questo ha comportato una pressione finanziaria considerevole perché il sistema ha garantito una capacità operativa lungo la catena del valore con un livello di domanda diminuito anche del 60%. Senza considerare i costi per diminuire il più possibile il rischio contagio per coloro impegnati in processi operativi su mezzi di trasporto, piazzali, magazzini, etc. Il rovescio positivo della medaglia è che questa situazione, più di centinaia di convegni di settore, ha generato maggiore consapevolezza sul valore e la strategicità dei processi logistici. Abbiamo compreso, come consumatori finali, l’importanza dei processi di consegna di prodotti nei negozi e nei supermercati, fino a casa per quanto riguarda gli acquisti online. Proprio su questo ultimo punto le sfide sembrano essere ancora più complesse. Si stima che il lockdown abbia anticipato di almeno 5 anni l’adozione in Italia di pratiche di acquisto online con il risultato di una pressione sul sistema delle consegne che sta rendendo il cosiddetto ultimo miglio un processo insostenibile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Quali cambiamenti dovrà affrontare nel prossimo futuro il mondo della logistica? Ci sono diversi aspetti che richiederanno un vero e proprio salto di paradigma. Per quanto riguarda la logistica primaria (le spedizioni internazionali in logica B2B), il modello di ricerca delle economie di scala per mantenere competitivo il costo del servizio potrebbe scontrarsi con le logiche di inshoring (avvicinamento dei punti di produzione ai mercati di consumo) e automazione dei processi manifatturieri. Non si tratta di una novità, ma molto probabilmente anche in questo caso di una accelerazione, perché si è capito quanto sia rischioso avere delle catene di fornitura totalmente esposte al rischio di disruption perché concentrate su un’unica area geografica. In ambito di Logistica B2B, come anticipato, dovranno trovarsi nuovi equilibri sul modello delle consegne al consumatore finale con l’introduzione di modelli di pricing e operativi diversi. Si tratta di un settore dove la regolamentazione non è ancora chiara, con la speranza che non si creino sovrastrutture burocratiche che appesantiscano ulteriormente di regole gli operatori che stanno cercando di innovare (modelli di sharing, tecnologie AI per ottimizzazione di carichi e percorsi fino all’utilizzo di nuovi punti di consegna come i Lockers intelligenti e condivisi da più piattaforme). Fil rouge di ogni cambiamento sarà la riqualificazione delle competenze operative e manageriali di un settore che per troppi anni si è concentrato solo sull’efficientamento dei processi (per poter costare sempre meno) con un livello di innovazione operativa e manageriale non proprio elevatissimo. Quanto una filiera sostenibile in ambito logistico potrà contribuire ad affrontare future emergenze globali? Nel 2005 l’economista e scrittore Jeremy Rifkin invitato da SOS-LOGistica al convegno annuale ci disse che il mondo stava evolvendo verso due elementi: l’energia- come la produco, mantengo e distribuisco- e le comunicazioni, intese come sistemi di reti digitali in grado di connettere cose, persone e capitali. Tutto il resto, ci disse è Logistica. La logistica è quindi centrale in ogni processo di sviluppo economico e sociale e la nostra missione associativa è quella di dimostrare quanto la logistica possa essere una leva per una transizione da un modello di economia lineare (estraggo, trasformo, consumo e smaltisco) verso un modello di economia industriale circolare dove il focus si sposta sul mantenimento della qualità e degli stock di materie prime, prodotti e capitali finanziari. In questo nuovo modello le aziende manifatturiere potrebbero estendere la qualità e durata dei propri prodotti oltre il punto vendita e questo potrebbe essere abilitato solo da un modello di logistica responsabile, resiliente e sostenibile. Si tratta di un’utopia? Forse, ma pensare ad un modello di sviluppo che ci metta davanti a rischi come quello che stiamo vivendo dovrebbe aver fatto comprendere anche ai più scettici che non si tratta di una scelta ma di una necessità. Quali sono gli attori e i settori che avranno un ruolo chiave nella ripartenza? È evidente che il ruolo delle istituzioni sarà fondamentale per fare sintesi e canalizzare con decisione e visione le risorse verso obiettivi di medio e lungo termine. La visione di breve potrebbe indurre ad errori che pagheremo con conseguenze disastrose nei prossimi anni. Non sono un economista, ma intuisco che il ruolo delle istituzioni finanziarie sarà fondamentale per attivare le risorse necessarie e, anche in questo caso, auspico che possano emergere modelli in grado di premiare comportamenti virtuosi e sostenibili (penso anche alle assicurazioni sul rischio che potrebbero puntare su una premialità rispetto a processi e prodotti ambientalmente e socialmente responsabili). Spero anche che in termini di transizione energetica si riesca finalmente a passare da modello di sussidio a modello strategico, con un impegno verso le rinnovabili ed un disimpegno continuo dalle forme fossili. Saranno necessari bilanciamenti, come nel caso della mobilità e dei trasporti con modelli a corto e medio raggio, che premino l’elettrico e i bio carburanti e modelli a lungo raggio, che puntino sulla ferrovia e il trasporto marittimo a basso impatto ambientale. Quali sono gli interventi pubblici di cui il settore ha bisogno per ripartire? Il settore della logistica necessità di una forte iniezione di liquidità per ristorare gli operatori dei costi sostenuti in questi mesi con perdite di fatturato ingente. Sono necessarie semplificazioni e una accelerazione decisa sul tema delle infrastrutture che in Italia impongono agli operatori costi di inefficienza e ai consumatori, costi di esternalità non più sostenibili. Sarebbe necessaria una visione sistemica sul comparto e, come dice sempre il caro amico Massimo Marciani, membro del consiglio scientifico di SOS LOGistica e presidente di Freight Leaders, auspichiamo che la prossima finanziaria abbia un capitolo sulla logistica all’interno del tema dello sviluppo economico.


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Al Sistema Italia non basta la pioggia di euro

Oggi ospitiamo Giuseppe Mazzei, giornalista, saggista, docente universitario e fondatore di MazzeiHub, società specializzata in lobbying, public affairs e political intelligence.


Il decreto Rilancio, partorito a fatica e con ritardo, è costituito principalmente da “risarcimenti” per i danni subiti da aziende, lavoratori, professionisti e famiglie. Solo in minima parte esso prevede stanziamenti di denaro fresco e immediatamente disponibile per “rilanciare” l’economia italiana. 16 sono i miliardi destinati all’integrazione salariale e all’assegno ordinario con l’allargamento di ulteriori settimane di Cassa integrazione, Cassa integrazione in deroga e integrazione salariale. 4 miliardi sono destinati ai bonus di 600 euro per il mese di aprile e i 1000 euro di maggio per autonomi, artigiani e professionisti. Quasi 1 miliardo serve a finanziare il reddito di emergenza. Oltre 1 miliardo per l’indennità Inps di 500 euro per i lavoratori domestici per i mesi di aprile e maggio e per l’indennità di disoccupazione per i collaboratori anche a progetto. La platea complessiva è di 11 milioni di lavoratori: 7,7 milioni di dipendenti hanno chiesto la cassa integrazione, 4 milioni di autonomi hanno chiesto il bonus di 600 euro per un totale di 11.7 milioni di persone. Per le aziende fino a 250 milioni di fatturato viene cancellato il saldo e l’acconto IRAP e finalmente la Pubblica amministrazione potrà rimborsare ai creditori 12 miliardi. Per le piccole imprese sotto i 5 milioni di euro e con perdita di fatturato o dei compensi in aprile 2020 rispetto all’aprile 2019 di almeno un terzo è previsto un indennizzo a fondo perduto. Capitolo più delicato e importante è quello che riguarda il rafforzamento patrimoniale delle imprese. Per quelle sopra i 50 milioni interverrà la Cassa Depositi e Prestiti con “Patrimonio Rilancio“, che servirà per investimenti temporanei, concessione di finanziamenti e garanzie, assunzione di partecipazioni sul mercato primario e secondario con la sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili, partecipazione ad aumenti di capitale, acquisto di azioni per operazioni strategiche. Le imprese dai 10 a 50 milioni potranno beneficiare del sostegno dello Stato che affiancherà i privati che parteciperanno alle ricapitalizzazioni contribuendo con una somma pari a quella messa dai soci. Invitalia gestirà un “Fondo Patrimonio PMI” finalizzato a sottoscrivere strumenti partecipativi. Occorrerà vedere come i decreti attuativi del MISE tradurranno in operatività concreta questi strumenti che comunque mobilitano somme mai viste nel bilancio dello Stato dai tempi della massima espansione delle Partecipazioni Statali. Quello che manca in questo complesso di norme è l’idea di cosa fare del sistema produttivo italiano a partire dalla disruption provocata dalla pandemia. Le grandi crisi sono occasioni eccezionali per operare interventi di razionalizzazione di efficientamento e soprattutto di ridefinizione degli obiettivi. Se lo Stato intende usare ingenti fondi per entrare temporaneamente in alcune aziende e accompagnarne altre verso le ricapitalizzazioni sarebbe opportuno che tutti questi interventi fossero guidati da un’idea precisa di come riorganizzare l’intero sistema produttivo del Paese. In tal modo lo Stato andrebbe a destinare maggiori risorse in quei settori che necessitano di un potenziamento perché considerati strategici o a forte contenuto innovativo e non si limiterebbe ad aiutare indiscriminatamente tutti. Lo Stato potrebbe usare anche la leva fiscale per facilitare aggregazioni di imprese in una logica di filiera per evitare un’eccessiva frantumazione imprenditoriale con difficoltà di accesso al credito e di capacità competitiva. Piccolo è bello fino a quando non rende troppo deboli e minaccia di far soccombere. Bisogna sempre scegliere. E anche in questi mesi l’Italia deve scegliere. È giusto non lasciare nessuno per strada. Gli interventi a pioggia andrebbero riservati soltanto per indennizzare famiglie, lavoratori e professionisti, mentre per le imprese bisognerebbe utilizzare risorse differenziate. Lo Stato, insieme alle aziende, deve decidere una volta per tutte dove deve indirizzare il sistema produttivo italiano e in relazione a questa scelta comportarsi di conseguenza. Serve, insomma, una grande politica industriale concordata in cui lo Stato eserciti un ruolo di guida e sintesi e non certo di astratto pianificatore.


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Uscire dalla pandemia con un nuovo Green Deal per l’Italia

Anche noi abbiamo sottoscritto il “Manifesto per uscire dalla pandemia con un Nuovo Green Deal per l’Italia” perché crediamo fermamente che l’economia del futuro non possa essere che green, decarbonizzata e circolare.

Green Deal
Photo by Lyke B on Unsplash

La pandemia del nuovo coronavirus, che sta sconvolgendo abitudini e modi di vivere di miliardi di persone causando numerose vittime e ingenti danni economici, ha mostrato quanto possiamo essere vulnerabili, quanto bisogno abbiamo di essere più preparati e resilienti di fronte a simili rischi: in altre parole ci ha insegnato ad avere maggior cura del nostro futuro.

Riteniamo che, per affrontare una crisi distruttiva come questa e aprire concrete possibilità di un futuro migliore, servano politiche e misure innovative di vasta portata: un intervento pubblico – nazionale ed europeo – di dimensioni mai viste prima e un impegno straordinario dei cittadini e delle imprese. Tutto ciò è possibile solo a patto di avere un’adeguata consapevolezza, una visione condivisa, scelte chiare per un progetto di sviluppo all’altezza delle sfide della nostra epoca.

Mentre rispondiamo all’emergenza, attuando le misure necessarie per rendere le nostre società, i nostri sistemi sanitari e la nostra economia più resilienti nei confronti delle pandemie, non dobbiamo lasciare crescere altre minacce per il nostro futuro: innanzitutto la grande crisi climatica, alimentata da un modello di economia lineare ad elevato consumo di energia fossile e spreco di risorse naturali. Lo sforzo straordinario che ci è richiesto deve puntare su un progetto di sviluppo durevole, in grado di assicurare maggiore occupazione, un benessere più esteso ed equamente distribuito, che può essere basato solo su un’economia decarbonizzata e circolare.

Il Recovery Plan europeo – che punta ad attivare consistenti finanziamenti comunitari con un ruolo più attivo della Banca Europea degli Investimenti, con un incremento del bilancio europeo, con nuovi strumenti finanziari comuni in grado di raccogliere anche risorse aggiuntive dal mercato – dovrebbe, nelle nuove e ben più gravi condizioni generate dalla pandemia, rifondare e rilanciare, con un nuovo Green Deal, l’ambizioso progetto europeo per un’economia avanzata, decarbonizzata e circolare.

Siamo convinti che un nuovo Green Deal sia la via da seguire per una più forte e duratura ripresa perché valorizza le migliori potenzialità dell’Italia: quelle legate alle produzioni di qualità, sempre più green, inscindibili dai cambiamenti verso la decarbonizzazione e la circolarità dei modelli di produzione, distribuzione e consumo; quelle in cui ha raggiunto livelli di eccellenza, come il riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili di energia strategiche nella transizione energetica verso un’economia climaticamente neutrale; quelle del nostro modello di agricoltura sostenibile, necessaria per la sicurezza alimentare, e delle altre attività della bioeconomia rigenerativa in grado rivitalizzare aree marginali e siti dismessi; quelle delle città, da rilanciare con un vasto programma di rigenerazione urbana in chiave green; quelle dell’importante capitale naturale, necessario per numerosi servizi ecosistemici e per il rilancio di diverse attività economiche come il turismo; quelle della transizione a basse emissioni e con carburanti alternativi verso la mobilità decarbonizzata, elettrica e condivisa; quelle dell’innovazione digitale, che può contribuire a migliorare il lavoro, lo studio e la cura della nostra salute riducendo la nostra impronta ecologica.

I pacchetti di stimolo all’economia non devono aumentare le emissioni di gas serra e gli impatti ambientali, trasferendo ulteriori costi sul nostro futuro.

Noi riteniamo che un nuovo Green Deal sia la via innovativa da percorrere per la rinascita dell’Italia.


Maggiori informazioni e l’elenco dei primi 110 firmatari qui

2020: Crisi e opportunità da Covid-19

Foto di joakim Nadell da Unsplash
Grandi progetti europei, sostenibilità ambientale ed economica, big data e intelligenza artificiale, digital health, telemedicina e robotica… Sono davvero tante le opportunità e le innovazioni che avrebbero dovuto caratterizzare l’anno 2020, spesso ribattezzato “ventiventi”. Le aspettative positive, trasversali in tanti settori, sono state deluse o modificate (in rari casi potenziate) dall’impatto imprevisto e inimmaginabile del virus Covid-19, meglio noto come Coronavirus. Formalmente è il 2019 l’anno collegato a questo virus, ma è nel 2020 che si è concretizzata la più importante pandemia della storia moderna. Dopo le prime settimane di diffusione del virus in Cina, nessuno (o quasi) avrebbe previsto le drammatiche conseguenze che stiamo vivendo oggi, in primis per la salute delle persone, quindi per le strutture sanitarie in senso lato e infine per tutto il mondo di imprese e istituzioni. È azzardato e imprudente fare previsioni a medio o lungo termine su quelle che saranno le ricadute sociali, economiche e politiche a livello locale e internazionale. Forse solo dopo la concreta possibilità di avere un vaccino collaudato e disponibile, si potranno fare ipotesi stabili e credibili, ma in ogni caso, la società globale si sarà nel frattempo modificata, delineando nuove abitudini, assetti ed equilibri (o squilibri). Guardando al mondo del lavoro è evidente come il lock-down abbia imposto una condizione di paralisi a una percentuale elevatissima di aziende, soprattutto MPMI, con effetti devastanti su quelli che saranno i conti economici dell’anno, cui seguirà un’evidente crisi occupazionale, temporaneamente protetta dalla cassa integrazione. Vero è che alcune nicchie di mercato sono in crescita, come nel settore alimentari e GDO o nell’ambito ICT e telecomunicazioni, in parte nel mondo farmaceutico. Ma è un “segno più” ampiamente insufficiente rispetto a turismo e ristorazione, automotive e trasporti, moda, commercio al dettaglio, servizi e consulenza, edilizia e artigianato, mercati finanziari, che hanno subito un profondo rosso di almeno tre mesi. La Fase 2, anche definita di “convivenza con il virus”, per alcune aziende o settori continuerà a essere proibitiva, per altri sarà occasione di ripresa o ripartenza, verso una nuova normalità, sempre che un possibile effetto yo-yo non riporti al blocco totale. Come in borsa potranno esserci rimbalzi e opportunità, che si realizzeranno da un lato semplicemente sfruttando i vuoti rimasti in questi mesi, dall’altro lato creando prodotti e servizi o modelli di lavoro che sono nati durante la crisi. Innegabilmente la situazione di emergenza ha guidato, o meglio obbligato, grandi masse di persone a imparare cose nuove, nelle relazioni sociali, nei consumi, nel modo di informarsi e intrattenersi; infine, per chi ha potuto, anche a lavorare diversamente, attraverso lo smart working. Un’automatica necessità di formazione e alfabetizzazione informatica ha pervaso le famiglie italiane, che in poche settimane hanno introdotto l’uso quotidiano della videoconferenza, dell’e-commerce, dell’intrattenimento online, quindi di tecnologie e piattaforme che saranno certamente utili per l’immediato futuro. L’auspicio è che la rinnovata competenza nella fruizione di strumenti IT costituisca un’azione diffusa di re-skill capace di colmare almeno parzialmente il gap tecnologico e il digital divide che caratterizzavano gran parte della popolazione e della società produttiva, con ricadute negative sul lavoro per il costo definito di ignoranza informatica. Non solo, l’utilizzo consapevole, efficace e diffuso delle ICT potrebbe consentire un nuovo inizio: il realizzarsi della società dell’informazione o società della conoscenza, un’occasione di crescita, democrazia culturale, in grado di fare evolvere la nostra economia verso sane forme di globalizzazione, equità sociale e sostenibilità. Forse, l’automobile non è più il bene simbolo della civiltà occidentale, la sensibilità e il rispetto verso l’ambiente sono cresciuti, il desiderio di un’informazione imparziale e oggettiva si è diffuso, la classe politica potrebbe imparare nuove regole o modi di porsi verso i cittadini, perfino le istituzioni hanno dimostrato che l’impossibile era possibile, a Genova, con la ricostruzione del Ponte. Forse, il Coronavirus ci ha fatto scoprire “La Civiltà dell’Empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi”: è il titolo di un saggio scritto da Jeremy Rifkin poco più di dieci anni orsono.   Un ricordo personale A margine di queste considerazioni, mi è d’obbligo volgere un pensiero a Pietro Crovari, mancato a 88 anni nel marzo di quest’anno, Professore Emerito di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Genova, medaglia al merito della sanità pubblica e per anni presidente della Società italiana di Igiene. Un giorno di qualche anno fa, durante un pranzo nel nostro Rotary Club Genova Est, ho avuto il piacere di stare un po’ con lui a farmi raccontare… in quelle settimane era ormai chiaro che l’annunciato spavento per l’influenza suina H1N1 si era risolto, con meno conseguenze di quelle previste. Già alcuni gridavano allo scandalo inveendo contro i vaccini e le aziende farmaceutiche. Ovviamente non persi l’occasione per fare qualche domanda sull’argomento e chiedergli “Piero, allora, ma com’è questa storia della suina?”. E lui, impassibile, con un sorriso sarcastico: “Semplicemente, ci è andata bene!”. Caro Piero… mi sa che avevi proprio ragione. Ti ricordo sempre, con amicizia e affetto. Paolo Macrì


#ilcontributodellesperto #noicisiamo #sostenibilità

Ripartire con la sostenibilità al centro

Foto di Sven Read da Unsplash
La sostenibilità sarà fondamentale per affrontare la sfida della ripresa e per costruire un futuro migliore non solo di oggi, ma anche di ieri.

Ecco la lettera aperta di Fulvio Rossi, Presidente CSR Manager Network, al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.

Ripartire con la sostenibilità al centro

Illustre Presidente

In questo momento in cui tutti attendono l’avvio della ripresa delle attività economiche e sociali, come comunità di manager e professionisti abituati per ruolo e competenze a pensare alle conseguenze a lungo termine dei comportamenti, vogliamo sottolineare l’importanza di dare a questa ripresa un orientamento lungimirante in nome dello sviluppo sostenibile.

Oggi, i difetti della situazione socioeconomica precedente all’emergenza sanitaria possono sembrare un confortevole approdo, rispetto ai lutti che abbiamo subito e alle privazioni cui ci siamo sottoposti. Ma chi ha la responsabilità di condurre il Paese fuori da questa situazione ha anche il dovere di attenersi a una lettura razionale della realtà, di mantenere lo sguardo rivolto oltre le necessità contingenti. Le scelte di oggi segneranno il futuro sociale ed economico dell’Italia, di cui la sostenibilità deve essere un asse portante.

La ripresa dall’emergenza è una grande sfida, che contiene una grande opportunità: costruire un futuro migliore del mero ritorno a un passato comunque denso di problemi, che si riproporrebbero ben presto come limiti alla costruzione di una sana e duratura prosperità. L’emergenza che stiamo attraversando ha fatto emergere con forza alcuni di questi problemi: l’evasione fiscale, che mai come in questi giorni ci è apparsa come un insulto alle necessità della sanità pubblica; la fragilità del lavoro nero; la disuguaglianza che estende il perimetro della povertà; l’insufficiente investimento in infrastrutture, soprattutto quelle digitali che limitano l’accesso a servizi e formazione; la poca attenzione ai rischi emergenti e alla necessità di prepararsi per tempo ad affrontarli.

Dall’esigenza di restare a casa abbiamo anche tratto alcuni segnali utili a ridisegnare il futuro, anche nell’organizzazione delle imprese: la possibilità di ricorrere allo smart working in modo più esteso che in precedenza, che rappresenta non solo un aiuto per il distanziamento sociale nella fase di ripresa, ma anche una chance di migliore equilibrio tra lavoro e vita privata; la necessità di una relazione più integrata e rigorosa con la catena di fornitura; l’imperativo di salvaguardare la salute e la sicurezza sul posto di lavoro.

Ci sono poi temi che in questa fase sembrano avere perso di centralità nel dibattito e nell’informazione quotidiana, ma che continuano a essere decisivi per il nostro futuro: quelli relativi all’ambiente, primo tra tutti il contrasto alla crisi climatica e all’uso insostenibile delle risorse, e alla gestione dei flussi migratori dalla costa Sud del Mediterraneo.

Affrontare questi nodi non è un lusso, qualcosa da rimandare a un secondo momento, dopo che ci saremo rialzati: è invece il modo migliore per tornare a svilupparsi senza tornare indietro, per costruire un Paese più dinamico ed equo. Significa ritrovare la tensione a migliorare il nostro benessere, ma senza abbassare la guardia, altrimenti la ripartenza sarà effimera e i vecchi problemi presenteranno presto il conto.

Per questo ci appelliamo a Lei, che ha sempre mostrato sensibilità al riguardo,

  • perché l’azione di Governo si orienti con la bussola della sostenibilità anche nella fase di ricostruzione dell’economia;
  • perché il nostro Paese imbocchi con decisione la strada della decarbonizzazione e dell’economia verde, dove già vanta eccellenze, facendone il catalizzatore della crescita dell’occupazione e dell’inclusione sociale;
  • perché il sistema finanziario e le politiche pubbliche premino le attività che più rispondono ai bisogni sociali e del contrasto al cambiamento climatico;
  • perché le imprese che adottano strategie coerenti con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile siano guardate e seguite come un esempio virtuoso.

Perché l’Italia di domani sia migliore, non solo di oggi, ma anche di ieri.

Sperando di avere occasione di poterLe parlare di questi temi, Le porgo i miei migliori saluti

GSK Italia e Coronavirus: il progetto #AiutiamogliEroi

Photo By Gabriel Bassino da Unsplash
Photo By Gabriel Bassino da Unsplash

Aiutiamo gli Eroi è un progetto esclusivo sviluppato dai nostri dipendenti. Sappiamo che il nostro compito primario è la scoperta e produzione di farmaci e vaccini salva-vita ma in una crisi senza precedenti come l’attuale dobbiamo dare tutti il nostro contributo e supporto agli eroi in prima linea per salvare il malati di Covid19. Per questo il nostro contributo è il risultato di donazioni aziendali, dei singoli dipendenti, raccolte fondi e di attività in collaborazione con le Autorità e Operatori sanitari”. Ha dichiarato Fabio Landazabal, General manager di GSK Pharma.

L’iniziale somma di 1 milione di euro donata a favore della Protezione Civile è stata integrata dalla maratona solidale dei dipendenti di GSK e ViiV che, in soli quattro giorni, hanno donato 130mila euro, raddoppiati dall’azienda. La somma complessiva di 1 milione e 260mila euro sarà impiegata dalla Protezioni Civile per allestire unità di terapia intensiva, acquisire macchinari, fornire dispositivi di protezione individuale e ogni altro aiuto necessario sul fronte dell’epidemia.

Dall’inizio dell’emergenza GSK ha potuto spostare immediatamente tutto il lavoro non essenziale in remoto grazie alle tecnologie di comunicazione da tempo introdotte in azienda e all’abitudine dei dipendenti a lavorare in Smart Working già due giorni la settimana. I lavoratori essenziali sono invece protetti con una serie di misure aggiuntive che vanno dall’accesso riservato alle strutture, alla continua opera di sanificazione di locali e macchinari, all’uso di adeguate protezioni, al controllo regolare delle condizioni di salute e alla presenza di un servizio sanitario dedicato interno in tutti i siti di produzione e ricerca – ossia a Parma, Rosia e Siena – che lavora in stretto contatto con le Autorità sanitarie locali.

Eroi sono tutti quelli in prima linea in questa emergenza a cui va la nostra riconoscenza e eroi sono i nostri dipendenti e le loro famiglie, che da subito abbiamo deciso di proteggere con tutti i mezzi possibili. – Ha proseguito Fabio Landazabal – Sono loro, i nostri lavoratori essenziali che devono continuare a lavorare nei laboratori e nelle fabbriche per fare in modo che farmaci, vaccini e altri prodotti essenziali continuino ad arrivare a medici, pazienti e consumatori in Italia e in tutto il mondo”.

Prosegue inoltre, ma in forme nuove, l’impegno a fianco della classe medica e dei pazienti, con attività dedicate tra cui un webinar con oltre 130 oncologi, rappresentanti delle istituzioni sanitarie e giornalisti per capire come meglio rispondere all’emergenza e il sostegno al progetto Safe Zone di SIMG, per la sanificazione di 100 studi di medicina generale in 100 giorni e la formazione dei medici di famiglia.

All’impegno in Italia contro la pandemia corrisponde anche un forte impegno globale dell’azienda con la donazione di 10 milioni di dollari al COVID-19 Solidarity Response Fund dell’OMS, la partecipazione a svariati progetti di ricerca nell’ambito di potenziali vaccini basati anche sulla piattaforma adiuvante GSK, e l’entrata in un incubatore di aziende per lo sviluppo di nuovi farmaci contro il virus.

Con #AiutiamogliEroi l’azienda e tutti i suoi dipendenti si uniscono alle comunità in cui vivono e lavorano per affrontare l’emergenza e uscirne il prima possibile con una rinnovata coesione e pronti a ricominciare”. Ha concluso il General manager.

L’impegno italiano di GSK contro COVID-19 è in costante evoluzione, così come lo sono le attività globali: per questa ragione, si rimanda al sito gsk.it e ai social per i costanti aggiornamenti.

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