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Al Sistema Italia non basta la pioggia di euro

Oggi ospitiamo Giuseppe Mazzei, giornalista, saggista, docente universitario e fondatore di MazzeiHub, società specializzata in lobbying, public affairs e political intelligence.


Il decreto Rilancio, partorito a fatica e con ritardo, è costituito principalmente da “risarcimenti” per i danni subiti da aziende, lavoratori, professionisti e famiglie. Solo in minima parte esso prevede stanziamenti di denaro fresco e immediatamente disponibile per “rilanciare” l’economia italiana. 16 sono i miliardi destinati all’integrazione salariale e all’assegno ordinario con l’allargamento di ulteriori settimane di Cassa integrazione, Cassa integrazione in deroga e integrazione salariale. 4 miliardi sono destinati ai bonus di 600 euro per il mese di aprile e i 1000 euro di maggio per autonomi, artigiani e professionisti. Quasi 1 miliardo serve a finanziare il reddito di emergenza. Oltre 1 miliardo per l’indennità Inps di 500 euro per i lavoratori domestici per i mesi di aprile e maggio e per l’indennità di disoccupazione per i collaboratori anche a progetto. La platea complessiva è di 11 milioni di lavoratori: 7,7 milioni di dipendenti hanno chiesto la cassa integrazione, 4 milioni di autonomi hanno chiesto il bonus di 600 euro per un totale di 11.7 milioni di persone. Per le aziende fino a 250 milioni di fatturato viene cancellato il saldo e l’acconto IRAP e finalmente la Pubblica amministrazione potrà rimborsare ai creditori 12 miliardi. Per le piccole imprese sotto i 5 milioni di euro e con perdita di fatturato o dei compensi in aprile 2020 rispetto all’aprile 2019 di almeno un terzo è previsto un indennizzo a fondo perduto. Capitolo più delicato e importante è quello che riguarda il rafforzamento patrimoniale delle imprese. Per quelle sopra i 50 milioni interverrà la Cassa Depositi e Prestiti con “Patrimonio Rilancio“, che servirà per investimenti temporanei, concessione di finanziamenti e garanzie, assunzione di partecipazioni sul mercato primario e secondario con la sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili, partecipazione ad aumenti di capitale, acquisto di azioni per operazioni strategiche. Le imprese dai 10 a 50 milioni potranno beneficiare del sostegno dello Stato che affiancherà i privati che parteciperanno alle ricapitalizzazioni contribuendo con una somma pari a quella messa dai soci. Invitalia gestirà un “Fondo Patrimonio PMI” finalizzato a sottoscrivere strumenti partecipativi. Occorrerà vedere come i decreti attuativi del MISE tradurranno in operatività concreta questi strumenti che comunque mobilitano somme mai viste nel bilancio dello Stato dai tempi della massima espansione delle Partecipazioni Statali. Quello che manca in questo complesso di norme è l’idea di cosa fare del sistema produttivo italiano a partire dalla disruption provocata dalla pandemia. Le grandi crisi sono occasioni eccezionali per operare interventi di razionalizzazione di efficientamento e soprattutto di ridefinizione degli obiettivi. Se lo Stato intende usare ingenti fondi per entrare temporaneamente in alcune aziende e accompagnarne altre verso le ricapitalizzazioni sarebbe opportuno che tutti questi interventi fossero guidati da un’idea precisa di come riorganizzare l’intero sistema produttivo del Paese. In tal modo lo Stato andrebbe a destinare maggiori risorse in quei settori che necessitano di un potenziamento perché considerati strategici o a forte contenuto innovativo e non si limiterebbe ad aiutare indiscriminatamente tutti. Lo Stato potrebbe usare anche la leva fiscale per facilitare aggregazioni di imprese in una logica di filiera per evitare un’eccessiva frantumazione imprenditoriale con difficoltà di accesso al credito e di capacità competitiva. Piccolo è bello fino a quando non rende troppo deboli e minaccia di far soccombere. Bisogna sempre scegliere. E anche in questi mesi l’Italia deve scegliere. È giusto non lasciare nessuno per strada. Gli interventi a pioggia andrebbero riservati soltanto per indennizzare famiglie, lavoratori e professionisti, mentre per le imprese bisognerebbe utilizzare risorse differenziate. Lo Stato, insieme alle aziende, deve decidere una volta per tutte dove deve indirizzare il sistema produttivo italiano e in relazione a questa scelta comportarsi di conseguenza. Serve, insomma, una grande politica industriale concordata in cui lo Stato eserciti un ruolo di guida e sintesi e non certo di astratto pianificatore.


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